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Studio internazionale su fertilità e fecondazione assistita: gli effetti collaterali preoccupano i pazienti

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di Massimiliano Cavaleri

Per la prima volta al mondo, su iniziativa di Clinica Eugin, è stato condotto uno studio firmato da 18 esperti di procreazione medicalmente assistita relativo alla fecondazione assistita con il diretto coinvolgimento dei pazienti, con il fine di identificare i temi di ricerca sulla procreazione medicalmente assistita: un questionario a cui hanno risposto 945 pazienti (845 donne e 100 uomini), che frequentavano gli 11 centri coinvolti nella ricerca. I risultati mostrano diverse percentuali in base al tema affrontato: in testa, gli effetti collaterali dei trattamenti farmacologici per effettuare la PMA (51,6%); come affrontare la PMA dal punto di vista psicologico (35,7%); impatto dell’alimentazione sulla fertilità e sul successo dei trattamenti (25,9%); tassi di successo dei trattamenti di PMA (24,8%); stili di vita salutari e prevenzione dell’infertilità (20%); rischi a lungo termine dei trattamenti di PMA (18,5%); terapie alternative per trattare e prevenire l’infertilità (18,5%); impatto dell’esercizio fisico su fertilità e successo dei trattamenti (15,4%); qualità e quantità degli ovociti: come influenzano la fertilit e cause genetiche e condizioni ereditarie che possono causare infertilità (9,5%).

“Ci aspettavamo che temi quali gli effetti collaterali dei trattamenti farmacologici e i rischi a lungo termine della PMA (totale 70%) e gli aspetti psicologi (35,7%) – ha spiegato il prof. Mario Mignini Renzini, referente medico per gli aspetti clinici dei Centri Clinica Eugin in Italia – fossero in cima alla lista delle priorità. Sappiamo, infatti, quanto poco si sappia dei trattamenti della PMA – oggi assolutamente sicuri e privi di rischi significativi – e quanto sia difficile per le coppie accettare di non potere avere figli in maniera naturale e affrontare, di conseguenza, il percorso della PMA, specie se eterologa, ossia con donazione di gameti”. Osservando i dati aggregati, invece, il risultato più sorprendente è l’interesse in assoluto più elevato nei confronti delle abitudini, stili di vita, alimentazione e terapie alternative per prevenire l’infertilità: 89,3%”.

“A livello internazionale, la priorità dei pazienti è rivolta a temi legati all’alimentazione e agli stili di vita – ha commentato il Prof. Antonio La Marca, Coordinatore Clinico di Clinica Eugin Modena, uno degli autori dello studio – questo potrebbe essere dovuto alla difficoltà relativamente bassa che i pazienti individuano nel modificare le proprie abitudini alimentari o ad introdurre nella propria routine l’attività fisica, rispetto ad affrontare altri cambiamenti o problemi fisici difficilmente modificabili”.

Lo studio ha coinvolto 170 pazienti italiani. Analizzando le priorità specifiche per questo gruppo di pazienti, osserviamo che alle prime tre posizioni i temi corrispondono alle stesse priorità espresse a livello internazionale.

Mentre la “qualità e quantità degli ovociti” non sembra rappresentare una grande preoccupazione se osserviamo il dato medio internazionale, per gli italiani questo tema sale alla quarta posizione. Questo dato si spiega in base al fatto che i partecipanti italiani avevano un’età media superiore rispetto a quella dei pazienti delle altre nazioni (40,9 anni contro, ad esempio, i 35,6 dei danesi). Considerato che dopo i 35 anni la fertilità della donna declina molto rapidamente, con una riduzione significativa della quantità e qualità degli ovociti, è normale che un paziente informato, sopra i 35 anni di età, sia preoccupato per questo fattore. Il risultato italiano si discosta inoltre dalla media internazionale per due tematiche prioritarie differenti, assenti nel dato medio internazionale, ossia il mancato attecchimento degli embrioni e la diagnosi precoce di infertilità. Questo ultimo tema è strettamente legato alla problematica italiana di posticipare troppo a lungo il progetto di famiglia.

L’Italia ha registrato negli ultimi 10 anni ben 130.000 nuovi nati in meno. Per uscire da questa trappola demografica sono necessarie campagne di prevenzione che informino le coppie ma anche i medici di base e ginecologi in merito alla vita fertile. Secondo un recente studio, infatti, il 56% dei ginecologici italiani crede erroneamente che il limite dell’età fertile della donna sia tra i 44 e i 50 anni e che la procreazione assistita possa sempre sopperire ai problemi di infertilità. Le coppie correttamente informate, che decidono comunque di posticipare la gravidanza, possono ricorrere alla crioconservazione dei propri gameti, aumentando considerevolmente le possibilità di avere, più avanti, un figlio in maniera naturale.

(di lecodelsud.it)