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Piano di Sorrento, Ethan sottratto alla madre durante l’allattamento: «Provoca stress traumatico»

«La madre dona al figlio l’alimento indispensabile per la sua crescita non solo fisica ma anche psicologica».

Ethan è stato letteralmente strappato dal seno della madre, poiché la mamma, Claudia, lo stava appunto ancora allattando, il rapimento da parte dell’ex compagno statunitense, è avvenuto il 30 agosto di quest’anno. Il papà del neonato, durante l’incontro quotidiano con il piccolo Ethan, mentre lo portava a fare una passeggiata, lo ha rapito, portandolo con se in America. Claudia ormai non vede suo figlio da più di un mese. Abbiamo parlato degli effetti che provoca questo allontanamento forzato tra neonato e madre con la dott.ssa Valeria Giamundo, psicoterapeuta dell’età evolutiva esperta di separazioni e divorzi e abuso e maltrattamento all’infanzia.

La sottrazione di un minore configura non solo un reato dal punto di vista giuridico in quanto nega il diritto (del figlio) alla continuità affettiva e alla bi-genitorialità, ma anche una condizione di grave abuso verso il minore e verso sua madre; condizione che non può essere negata in alcun ambito clinico, né giuridico; né tantomeno nel campo scientifico-clinico e della giurisdizione statunitense. Il distacco improvviso dalla figura materna genera infatti un trauma significativo e profondo nel bambino, ma anche nella madre, perché interrompe quel legame vitale che è il fondamento per la crescita di una sana personalità. Entrambi possono sviluppare sintomi post-traumatici, gravi e complessi; questi possono regredire lentamente se la relazione viene ripristinata in tempi brevi, ma possono aggravarsi e produrre effetti a lungo termine se il distacco si protrae nel tempo.

Solitamente i bambini sottratti sono vittime del fallimento di un legame di coppia; l’esito estremo di un progetto più spesso distruttivo.  Allontanare e trattenere un minore con la consapevolezza di agire senza il consenso o contro la volontà del genitore (esercente la responsabilità genitoriale), oltre che senza il consenso del minore è un crimine. E lo è tanto più se lo scopo della sottrazione ha una connotazione vendicativa e punitiva nei confronti dell’ex partner. Ahimè, molto spesso la motivazione che sottende una tale condotta deplorevole non è la salvaguardia del minore, ma il progetto punitivo. Ma anche qualora l’intenzione sia quella della salvaguardia, rimane il fatto che l’allontanamento di un figlio può essere disposto solo da un giudice quando sia stata accertata, in sede giudiziale, una condizione di concreto pregiudizio per un minore.

Mi è già capitato di affrontare situazioni di sottrazioni di minori. Si trattava sempre di allontanamenti che avvenivano nell’ambito di controversie giudiziarie già avviate, e conseguenti a separazioni altamente conflittuali; laddove un genitore, richiedeva, ma non otteneva l’affidamento esclusivo del figlio. Ho lavorato per lo più su minori di età scolare, fra i 5 e gli 16 anni d’età, rientrati in Italia dopo lunghi periodi d’assenza, con l’obiettivo di trattare i gravi esiti post-traumatici e favorire il ripristino dei legami interrotti col genitore alienato. Nei bambini più grandi l’allontanamento coatto influenza i processi di pensiero e significato. Accanto a sintomi come angoscia, depressione e sintomi post-traumatici, manifestano sensi di colpa, ansia da separazione, disturbi somatici importanti, alcuni dei quali già sviluppati a seguito dell’esposizione pregressa e prolungata al conflitto coniugale; cui si aggiungono poi i danni secondari dovuti al coinvolgimento in procedimenti giudiziali e alle eventuali sentenze giudiziali. Ma la condizione di non consapevolezza o di incoscienza del neonato o del lattante non lo protegge da danni significativi. 

Nel caso di bambini così piccoli come Ethan i danni possono essere insidiosi e profondi, ma sono più difficili da valutare nella fascia della prima infanzia, periodo in cui lo sviluppo cognitivo, emotivo e comunicativo è ancora fortemente immaturo e le capacità espressive e adattive dipendono quasi esclusivamente dal caregiver di riferimento. Quando il bambino non comprende ancora il linguaggio verbale, elabora tutte le informazioni sensoriali che riceve dall’ambiente e dal proprio corpo attraverso la madre, per questo il legame con essa è fondamentale. Il distacco improvviso nel primo anno di vita genera, pertanto, nel bambino risposte ansiose e comportamenti di ricerca attiva seguiti da rinuncia; il vissuto di abbandono può comportare sintomi che vanno dall’ansia, all’angoscia, all’agitazione psicomotoria, e infine anche alla depressione. Le ricerche dimostrano, inoltre, che tali sintomi esitano spesso, nell’età adulta, in gravi disturbi. 

I danni di un allontanamento di un minore dalla figura materna sono dimostrati da studi accreditati e riconosciuti non solo in ambito scientifico ma anche giuridico; tant’è che l’ordinamento giuridico di quasi tutte le nazioni prevede che anche una madre detenuta possa tenere con sé il proprio bambino; in Italia ciò è possibile fino al compimento del terzo anno di età, in altre nazioni persino fino al sesto. E’ evidentemente acquisito che persino crescere all’interno di un penitenziario può costituire minor pregiudizio rispetto al danno che genera una separazione dalla figura materna. Oggi lo stato si è attrezzato per creare sezioni nido all’interno dei penitenziari o i cosiddetti ICAM ovvero Istituti a custodia attenuata per madri, coinvolgere educatori in grado di supportare lo sviluppo del minore, stabilire misure sostitutive o alternative (alla detenzione) per le donne madri, Tutto pur di non separarle i figli dalle loro madri.

Il legame di attaccamento tra una madre e suo figlio si forma dapprincipio nell’utero, dove si è scoperto che i feti sviluppano risposte preferenziali ai profumi e ai suoni materni che persistono anche dopo la nascita, arricchendosi di sensazioni tattili, e dal rilascio di ormoni (nutrienti al corpo e all’anima) come la serotonina, l’ossitocina e le endorfine. Con la nascita il bambino  impara a riconoscere il volto della madre che associa alla sua voce; sono importanti gli scambi vocali, insieme alle espressioni facciali e alle vocalizzazioni. La madre, in pratica, funziona come “regolatore nascosto” dei sistemi neurobiologici di crescita; in questa fascia d’età, l’esistenza di un bambino dipende ancora strettamente da quella di sua madre. Da questo momento in poi un suo distacco può alterare lo sviluppo emozionale, provocando intense reazioni emotive di stress traumatico che hanno ripercussioni dal punto di vista neuro-biologico e conseguenze a breve e lungo termine sul suo sviluppo cognitivo ed emotivo. 

I momenti più importanti sono sicuramente quelli dell’allattamento, durante i quali la madre dona al figlio l’alimento indispensabile per la sua crescita non solo fisica ma anche psicologica. L’adattamento reciproco nasce e cresce in questa prima interazione ed è attraverso l’interazione costante che la madre potrà avviare brevi allontanamenti seguiti da ricongiungimenti che permetteranno al bambino di comprendere che la madre esiste anche se si è allontanata un momento. Solo in questo modo il bambino non vivrà con paura e angoscia il distacco, ma come mera riparabile frustrazione. Diversamente l’impossibilità di ritrovarsi produce il vuoto, l’angoscia incomunicabile e l’annichilimento del Sé del bambino. La perdita improvvisa di una madre, pertanto, non genera semplice frustrazione, ma una minaccia di annichilimento. 

Gli effetti di una separazione, così improvvisa e inattesa da risultare violenta, può determinare sintomi gravi e insidiosi anche sulla figura materna: ansia, depressione, e sintomi post-traumatici quali disturbi del sonno, alterazione emozionale, sintomi dissociativi. Il trauma può alterare lo stato di coscienza, le emozioni, i processi di pensiero; ma si tratta di una condizione transitoria che può regredire, purché il ricongiungimento non si protragga troppo a lungo. Nel caso specifico l’interruzione del rapporto con lo svezzamento prematuro e innaturale, comporta innanzitutto un brusco calo ormonale di ossitona e di endorfine, e danneggia il legame di filiazione interferendo col processo di adattamento reciproco, che avviane attraverso il bonding e che permette non solo la crescita del bambino, ma anche la maturazione della funzione materna.

Solo il ricongiungimento con il bambino permetterà alla diade madre-bambino di ritrovare quella dimensione affettiva e interpersonale indispensabile per rispondere nuovamente e con efficacia alle necessità del proprio bambino. In questo percorso di ripristino del legame è particolarmente importante la vicinanza dei familiari significativi: i fratellini, la nonna, gli zii”.