Legge 40, forse sta per cadere un altro divieto: la famiglia è una costruzione culturale
Un nuovo ricorso alla Consulta potrebbe prossimamente abbattere un altro divieto delle Legge 40. Una donna che si era vista rifiutare da un Centro l’accesso alla fecondazione eterologa con donatore anonimo è ricorsa, tramite i legali dell’Associazione Luca Coscioni, al Tribunale di Firenze che pochi giorni fa sollevava la “questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui prevede che possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, escludendo così, irragionevolmente e illegittimamente dall’accesso, a suddette pratiche la donna singola (…)”. Una violazione, secondo i giudici, di diritti garantiti dalla Costituzione oltre che dalla Convenzione dei Diritti dell’Uomo.
Da quando la legge 40 è stata promulgata a fine febbraio 2004 molte barriere sono cadute per via giudiziaria, divieti estremamente punitivi per chi voleva un figlio con la procreazione medicalmente assistita. Tuttavia, nonostante gli interventi giuridici che l’hanno riscritta più conforme ai diritti costituzionali, continua ad essere preclusa ai single e alle coppie dello stesso sesso.
Sin dalla sua emanazione, la legge 40 è stata al centro di una sorta di disputa tra cattolici e laici, un po’ come accadde per la legge sul divorzio. Colpisce la riflessione che riguardo alla Pma fa AssuntinaMorresi, vice capo gabinetto nel Ministero Famiglia, Natalità e Pari Opportunità. Dice la Morresi su Avvenire che nonostante gli interventi di modifica della Corte costituzionale, “la legge è riuscita a mantenere la sostanza e la forza del suo impianto nell’inserire nuove tecniche riproduttive nel modello antropologico che prevede la procreazione naturale e i legami parentali che ne derivano”. I cattolici hanno molto a cuore la parola “naturale”, tranne quando si obbliga un malato terminale – che sarebbe naturale lasciar morire – a subire delle cure forzate che di naturale nulla hanno.
Tornando al concetto espresso dalla Morresi e ai legami di parentela che deriverebbero dalla procreazione “naturale” (ambito molto studiato dagli antropologi, anche loro confinati inizialmente in questa rilevanza difficile da confutare) è stato invece rilevato che il vero legame di parentela è quello che si stabilisce a partire dalla nascita, per mezzo di esperienze appropriate culturalmente. In definitiva, ogni relazione parentale, perfino quella genitoriale, può essere costruita anche dopo la nascita.
Ovviamente, non sto mettendo in discussione il fatto che per far nascere una nuova vita ci vuole l’unione di un uomo e una donna, di un ovocita e uno spermatozoo: è un fatto biologico inconfutabile. Ma è parimenti evidente che ciò che chiamiamo famiglia, un gruppo di persone che partecipano intimamente gli uni alle vite degli altri, è una costruzione culturale, che comprende certamente un carattere biologico, ma va molto oltre la biologia, fino al punto in cui le relazioni esperite dopo la nascita, quindi non biologiche, diventano predominanti rispetto a quelle della cosiddetta “procreazione naturale”.
Ho conosciuto un giovane uomo che da adolescente scoprì di essere stato adottato. Fece di tutto per ritrovare la sua madre biologica. Quando la trovò si trasferì da lei per iniziare – secondo la sua idea romantica di amore materno – una nuova vita con tanto più amore rispetto a quello che aveva ricevuto dalla madre adottiva. La sua esperienza fu disastrosa. Non riuscì a stabilire con lei alcun tipo di legame affettivo; un deserto di sentimenti. Scelse di tornare dalla madre adottiva.
Shot of a mother and her cute little boy spending time together at home. Happy single mother and son having fun in the living room. Portrait of a mother giving her son a piggyback at home.
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Sin dalla sua emanazione, la legge 40 è stata al centro di una sorta di disputa tra cattolici e laici, un po’ come accadde per la legge sul divorzio. Colpisce la riflessione che riguardo alla Pma fa Assuntina Morresi, vice capo gabinetto nel Ministero Famiglia, Natalità e Pari Opportunità. Dice la Morresi su Avvenire che nonostante gli interventi di modifica della Corte costituzionale, “la legge è riuscita a mantenere la sostanza e la forza del suo impianto nell’inserire nuove tecniche riproduttive nel modello antropologico che prevede la procreazione naturale e i legami parentali che ne derivano”. I cattolici hanno molto a cuore la parola “naturale”, tranne quando si obbliga un malato terminale – che sarebbe naturale lasciar morire – a subire delle cure forzate che di naturale nulla hanno.
Ovviamente, non sto mettendo in discussione il fatto che per far nascere una nuova vita ci vuole l’unione di un uomo e una donna, di un ovocita e uno spermatozoo: è un fatto biologico inconfutabile. Ma è parimenti evidente che ciò che chiamiamo famiglia, un gruppo di persone che partecipano intimamente gli uni alle vite degli altri, è una costruzione culturale, che comprende certamente un carattere biologico, ma va molto oltre la biologia, fino al punto in cui le relazioni esperite dopo la nascita, quindi non biologiche, diventano predominanti rispetto a quelle della cosiddetta “procreazione naturale”.
Ho conosciuto un giovane uomo che da adolescente scoprì di essere stato adottato. Fece di tutto per ritrovare la sua madre biologica. Quando la trovò si trasferì da lei per iniziare – secondo la sua idea romantica di amore materno – una nuova vita con tanto più amore rispetto a quello che aveva ricevuto dalla madre adottiva. La sua esperienza fu disastrosa. Non riuscì a stabilire con lei alcun tipo di legame affettivo; un deserto di sentimenti. Scelse di tornare dalla madre adottiva.