Infertilità, vi siete mai accorti di quanto certe parole possano far male?
Facciamo un gioco di immedesimazione. Leggete le seguenti frasi, chiudete gli occhi e sentite cosa vi provocano dentro, che siate già genitori o che non lo siate ancora o che non vogliate esserlo.
«Ma tu non puoi semplicemente impegnarti per concepire un bambino normalmente, come fanno tutte le coppie del mondo?».
«Se vuoi te lo spiego io come si fanno i figli!».
«Sei troppo stressata, smetti di pensarci e rimarrai incinta».
«Se non sei rimasta incinta finora, evidentemente Dio ha un disegno diverso».
«Hai un bel marito, una casa, un lavoro, potresti accontentarti».
«Ah, fate PMA? E di chi è colpa: tua o sua?».
Anche se non si hanno figli, queste frasi squarciano il cuore come coltelli. Difficile non provare dolore, se si tenta anche solo lontanamente di mettersi nei panni di una coppia in un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).
Eppure queste frasi le abbiamo sentite tutti, in conversazioni quotidiane, magari durante una pausa caffè o in situazioni assolutamente informali, ovvero al di fuori dell’ambiente medico. E non sono state pronunciate solo da conoscenti, amiche, altre donne, ma anche da medici, infermieri e psicologi, i cosiddetti «addetti ai lavori», che dovrebbero tutelare la salute psicologica delle pazienti che si sottopongono a questo percorso, ancor prima della salute fisica.
Le parole sono importanti, le parole sono azioni che possono cambiare il corso di una storia, di una vita, e sceglierle con cura quando si ha a che fare con una patologia è fondamentale.
Ecco perché IVI, leader mondiale in Medicina Riproduttiva, sta cercando di ridefinire il modo in cui l’infertilità viene comunicata, rappresentata, raccontata. In collaborazione con l’associazione Strada Per Un Sogno e il movimento Oneofmany di Loredana Vanini, e grazie alle testimonianze di donne e uomini che hanno scelto di condividere le proprie esperienze, IVI ha realizzato un manifesto per cambiare il Linguaggio della Fertilità, con un importante obiettivo: promuovere un linguaggio più empatico, inclusivo e rispettoso, che possa riflettere adeguatamente la complessità delle sfide affrontate da chi vive l’infertilità.
Chiamiamo le cose per nome: l’infertilità è una malattia
I dati parlano chiaro: l’infertilità in Italia riguarda il 15% delle coppie, equivalente a circa 1 coppia su 7. I cicli di PMA applicati nel 2020 in Italia sono stati 80.990: di questi ne sono nati 11.305, pari al 2,8% del totale dei bambini nati nello stesso anno. Mentre 36,9 è l’età media delle donne italiane che si sottopongono a tecniche omologhe con cicli a fresco, nettamente superiore alla media europea, pari a 35 anni (fonte: relazione 2022 del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di Procreazione Medicalmente Assistita).
«Nonostante dal 2009 sia ufficialmente riconosciuta come una malattia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – commenta la dottoressa Daniela Galliano, medico chirurgo, specializzata in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Responsabile del Centro PMA di IVI Roma – Oggi l’infertilità viene ancora descritta attraverso un linguaggio poco empatico, inappropriato, che a volte può persino risultare aggressivo. Di conseguenza, coloro che cercano una cura e ricorrono alla medicina della riproduzione per avere un figlio possono sentirsi giudicati, colpevolizzati o incompresi nel loro percorso verso la genitorialità. Per questo, è importante demistificare, rompere i tabù, evitare eufemismi. È essenziale che il linguaggio della fertilità sia equo e adeguato, evitando qualsiasi sfumatura di aggressività o mancanza di delicatezza. Vogliamo migliorare la conversazione sull’infertilità nei nostri ambienti personali e anche medici».
Infertilità: perché potrebbe «pesare» più su una donna
Nonostante i fattori che determinano l’infertilità possano riguardare sia gli uomini che le donne, forse più queste ultime possono vivere questa esperienza con una sensazione di rimpianto per scelte passate, magari per non aver iniziato prima la ricerca di una gravidanza. Oppure possono provare paura, senso di inadeguatezza o vergogna.
«Il linguaggio che la società utilizza per descrivere l’infertilità o la perdita di un bambino può avere un impatto enorme su come una persona può sentirsi – sottolinea la dottoressa Vincenza Zimbardi, psicologa IVI Roma – Potremmo cominciare a parlare di difficoltà di concepimento più che di sterilità o di mancato impianto invece che impianto fallito. Sembrano sfumature, ma non lo sono: diventano messaggi di comprensione, vicinanza e accoglienza che fanno stare meglio l’altro».
Infertilità: la parola alle pazienti
«Io sono una donna infertile e, prima di avere mio figlio, ho vissuto la poliabortività – racconta Martina, paziente IVI Roma – Durante gli anni di infertilità mi sono scontrata spesso con parole inopportune, pronunciate da persone poco empatiche, che poi ho capito con il tempo non essere crudeli o insensibili, ma piuttosto non abituate ad avere a che fare con questa condizione. Non lo fanno con cattiveria, dicono solo la prima cosa che viene loro in mente, non sapendo che di fronte hanno una persona che sta soffrendo terribilmente. Perché spesso, chi soffre molto, indossa una maschera per non lasciar trapelare il proprio dolore e il resto del mondo percepisce di sentirsi libero di dire qualsiasi cosa. Ho dovuto confrontarmi con frasi insensibili anche in riferimento ai miei aborti. Oggi con il mio bambino tra le braccia, ho finalmente quella forza di rispondere che mi è sempre mancata e adesso rispondo sempre che Tommaso è il mio quarto figlio».
«Sono giunta a Roma da un piccolo paese della Sicilia. Presa dalle distanze quintuplicate, dagli stimoli e dal lavoro, ho temporeggiato. Quando mi sono rivolta a un centro per la fertilità mi è stato detto: “Lei può fare solo eterologa” – racconta una mamma della community “Oneofmany” – Eterologa? Mi sono ricordata immediatamente un po’ di greco: etero = diverso. Seduta davanti a questo medico serioso, mi sono ricordata anche un vecchio video di Kate Perry, che vestiva i panni di una mezza aliena che fluttuava nello spazio con la faccia mezza viola e mezza blu. Mi sentivo un’aliena anch’io. Sono uscita dalla clinica e ho cercato su Google: eterologa (agg.): in biologia e medicina, detto di organo, tessuto o sostanza organica provenienti da specie animale diversa da quella considerata. Mi daranno gli ovociti di un ornitorinco? Ho pensato. Solo dopo ho capito che si stava parlando di fecondazione assistita con donazioni di gameti provenienti da una donatrice umana. Donazione… un termine bellissimo poiché un dono lo è sempre. Tutto, allora, ha cambiato significato e niente mi ha più spaventato. Oggi sono mamma grazie a un dono».
«Avevo iniziato la quarta stimolazione, le altre tre mi avevano accompagnata due volte verso la frase “non abbiamo nulla da trasferire” e a beta O. Ero determinata ma stanca – questa è un’altra paziente facente parte della community “Oneofmany” – Sono andata nel centro e il medico durante l’ecografia mi ha detto: “Peccato, ha già ovulato! Proviamo il mese prossimo”. Non riuscivo a chiudere la bocca e a smettere di fissarlo. Poteva accadere anche questo? Il dottore si è accorto della mia incredulità e mi ha ripreso, dicendo “Signora!”, allargando le braccia come se ne avesse le tasche piene, “Dovrebbe essere più sportiva!”. Ok.
Ho chiuso la bocca come un bravo soldato e sono uscita. Camminando verso la macchina, pensavo a come organizzare impegni e monitoraggi, ai soldi, all’ennesima gita con gli amici che sarebbe saltata. Ricordo di aver provato delusione ma solo per pochi secondi. Dovevo essere sportiva. La notte però non mi davo pace. Ma che significa essere sportiva? Giocare? Battersi? Saper perdere? Incassare i colpi? Essere elastica? E io che avevo fatto fino a quel momento?
Dopo la diagnosi sono entrata in sala operatoria ogni tre mesi. Non ho pagato l’affitto di casa per pagare le procedure. Non sono andata in vacanza. Non ho pianto. Mi sono bucata ovunque, facendo i salti mortali per conciliare la libera professione e la PMA. Il giorno dopo ho chiamato il medico spiegandogli che quella frase mi aveva solo fatta sentire ridicola e incompresa. “Lei cerchi di essere meno superficiale”, gli ho detto, orgogliosa della mia audacia. Ora sono sportiva e insolente».
La necessità di un progetto come «Il Linguaggio della Fertilità»
Sul sito IVI Italia è possibile scaricare un manifesto, una guida, un vademecum per tutti coloro che si rendono conto che è necessario un cambiamento di rotta per sensibilizzare il mondo intero su un argomento spinoso, delicato e per qualcuno fonte di grande dolore.
Un’iniziativa che non si rivolge solo agli addetti al settore o alle coppie che già vivono questo percorso di vita, ma a chiunque voglia davvero fare la differenza, partendo dalla cura delle parole che si scelgono per parlarne. Quindi ai professionisti del settore, certo, ma anche a giornalisti e persone che condividono informazioni sull’argomento e ad amici e parenti.
«Questo progetto è fondamentale come strumento di visibilità e sensibilizzazione sull’importanza del linguaggio della fertilità – dichiara Loredana Vanini, autrice del libro fotografico “Unadelletante” e dal 2019 fondatrice del movimento per l’infertilità Oneofmany, che è diventato il punto di riferimento in Italia per l’informazione, il supporto e l’assistenza alle coppie infertili – Vogliamo essere un agente di cambiamento in modo che le persone con infertilità sentano il sostegno, l’empatia e la complicità di cui hanno bisogno per affrontare le loro circostanze nelle migliori condizioni; condividere con la società come ci sentiamo, su quali frasi e come vorremmo essere trattati apre la porta al rispetto e alla complicità».
Infertilità: il modo giusto per stare vicino
Come stare accanto a una coppia che sta vivendo un percorso verso la fertilità? Che parole usare? Ecco alcuni preziosi consigli.
1.Ascolta
Non è necessario riempire il silenzio con luoghi comuni o frasi fatte. Semplicemente, è sufficiente essere presenti per quella persona.
2.Offri consigli solo se vengono richiesti
È nella natura umana voler aiutare qualcuno che soffre, cercando di trovare una soluzione, ma l’infertilità e la perdita di un bambino non possono essere “risolti”. Evita qualsiasi frase che inizi con “almeno…”, per esempio “almeno ci siete l’uno per l’altro”, “almeno sai che puoi rimanere incinta” (dopo un aborto), “almeno hai la salute”. Anche se l’intenzione è quella di aiutare cambiando il punto di vista, quello che stai facendo è invalidare il dolore della persona.
3.Sii gentile
Potresti non avere un’esperienza diretta di ciò che quella persona sta vivendo, ma puoi cercare di provare empatia per il suo dolore. La gentilezza non consiste nel dire a quella persona ciò che pensi voglia sentire: non dirai “andrà tutto bene” perché a volte, semplicemente, non è così.
4.Sensibilizza
Sensibilizza gli altri sull’importanza di evitare commenti inappropriati, insensibili o offensivi rivolti alle persone che stanno cercando di concepire un bambino.
Infertilità: le parole giuste per esserci
Smetti di dire…
Conosco una donna che ha fatto sette cicli di PMA e alla fine è rimasta incinta naturalmente… continua a provarci.
Prima o poi avrete il vostro bambino.
Almeno hai la salute.
Almeno sai che puoi restare incinta (dopo un aborto).
Potete sempre adottare.
Avete provato con [un nuovo alimento, una terapia alternativa, una posizione sessuale?]
Rilassati e vedrai che arriverà.
Inizia a dire:
Mi dispiace che ti stia succedendo questo e sono qui se vuoi parlare.
Posso prepararti la cena o portarti qualcosa da mangiare?
Posso fare qualcosa per aiutarti?
Non usare più queste parole:
Infertile
Transfer embrionale fallito
Impianto fallito
Utero inospitale
Uovo chiaro
Aborto biochimico
Embrione di scarsa qualità
Rinunciare al trattamento di fertilità
Adotta queste parole:
Difficoltà di concepimento
Mancato impianto (ricorda che molte donne possono percepire questo come un aborto)
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