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Fecondazione In Vitro: La Straordinaria Storia Di Miriam Menkin

in vitro fertilization of an egg cell in blue

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Moltissime storie di scienza ci raccontano di scoperte avvenute accidentalmente, per caso; dopo innumerevoli tentativi falliti, arriva un imprevisto, un incidente, ad aprire la strada ai ricercatori verso il tanto sospirato risultato positivo. Ma secondo la ricostruzione della storia di Miriam Menkin, che Rachel E Gross ha curato per la BBC, non è stata soltanto una semplice casualità a farle raggiungere il suo più importante traguardo – quello di fecondare, per la prima volta nella storia, una cellula uovo umana in vitro.

Come altri grandi momenti di scoperta, per arrivarci ci sono voluti anni di ricerca, abilità tecniche conquistate a fatica e la pazienza di ripetere lo stesso esperimento ancora e ancora.

Non è un caso trovarsi nel momento giusto, nel posto giusto e nelle condizioni giuste per fare accadere l’imprevedibile: bisogna essere scienziati appassionati e tenaci, come lo è stata Miriam Menkin, studiosa a cui viene attribuita, assieme al suo mentore John Rock, la prima fecondazione in vitro (IVF) di una cellula uovo umana, avvenuta nel 1944. Ci vorranno altri 34 anni per far nascere la prima bimba in provetta – Louise Brown – ma quel primo esperimento andato a buon fine è avvenuto proprio per mano di Miriam, che nella sua carriera scrive ed è co-autrice di 18 paper scientifici, tra cui le due storiche ricerche pubblicate sulla rivista Science.

La storia, però, non ha riservato grande attenzione a Miriam, relegandola a un ruolo secondario nella vicenda, e ricordandola – come scrive Rachel – in diversissimi modi, tranne in quello che ha effettivamente ricoperto: tecnico di laboratorio, assistente di ricerca, biologa, dottoressa Menkin, signora, signorina, tutti appellativi adeguati a descriverla, ma che non restituiscono il suo reale contributo alla scoperta. Di questo parere, per lo meno, è Teresa Woodruff, professoressa di ostetricia e ginecologia e capo del dipartimento di scienze riproduttive della Feinberg School of Medicine della Northwestern University, che afferma:

Penso che si possa davvero pensare che sia stata al pari di John Rock; non è stata solo un tecnico o un paio di mani, come hanno sostenuto diverse persone, ma l’intellettuale che ha fatto il lavoro.

Le fa eco Margaret Marsh, storica presso la Rutgers University, che ha curato nel 2008 una biografia John Rock dal titolo The Fertility Doctor: John Rock And The Reproductive Revolution, in cui dice di aver trascurato la figura di Miriam.

Rock era un medico specialista, lei era una scienziata, con la mente di una scienziata, la precisione di una scienziata e la convinzione di una scienziata nell’importanza di seguire i protocolli.

Nel testo successivo che Margaret pubblica (The Pursuit of Parenthood) le darà più credito, proprio per riconoscere a una brillante studiosa il suo vero ruolo; ma dunque, cosa racconta la storia di Miriam e qual è stata la casualità che le ha permesso di compiere questa grande scoperta?

Per rispondere bisogna andare un po’ indietro nel tempo, a inizio secolo scorso – precisamente l’8 agosto 1901 – quando Miriam Friedman nasce a Riga, Lettonia. La piccola non starà molto in patria perché la famiglia, quando ha due anni, si trasferisce negli Stati Uniti, dove il padre lavorerà come dottore a New York, ed è lì che Miriam inizia il suo brillante percorso scolastico. Si laurea prima alla Cornell University, poi consegue un master alla Columbia University, ma quando fa domanda alla scuola di medicina per seguire le orme del padre, non viene accettata. “Non so perché. Penso che fosse principalmente per la mia personalità”, dice Miriam anni più tardi, ma molto più probabilmente il problema riguarda il suo genere: poche università elitarie di medicina accettano le donne, altre hanno selezioni particolarmente rigide. Prova dunque a spostare il suo interesse buttandosi sulla biologia, ma nel 1924 sposa Valy Menkin, studente di medicina ad Harvard, da cui avrà due figli (Gabriel e Lucy) e per permettergli di proseguire gli studi, Miriam comincia a lavorare. Non abbandona però l’idea di continuare il suo percorso e, passato qualche anno, dopo aver assistito Valy nella sua pratica, le viene offerto un lavoro come tecnico di laboratorio per Gregory Pincus, proprio ad Harvard. Pincus – che negli anni ’50 studierà la pillola anticoncezionale – sta lavorando su tecniche di fecondazione in vitro nei conigli ed è lui a ispirare, con i suoi studi, il direttore della clinica che cura i problemi di sterilità al Free Hospital for Women di Boston, John Rock, futuro mentore di Miriam.

Da anni impegnato ad incrementare le probabilità di concepimento nelle donne (specialmente quelle che avevano ovaie sane ma tube di Falloppio danneggiate) Rock chiama Miriam per aiutarlo a sperimentare la fecondazione in vitro anche per gli esseri umani, nel 1938: lui si sarebbe occupato dell’estrazione degli ovociti, mentre lei avrebbe curato la parte della fecondazione con gli spermatozoi, gestendo tutte le variabili dell’esperimento – dai tempi di incubazione, alle concentrazioni delle cellule.

Nel febbraio del 1944 Miriam ha 43 anni, una bimba di otto mesi che sta mettendo i denti e, come ogni giorno dei passati sei anni, si ritrova in laboratorio ad affrontare esperimenti che fino ad allora si sono mostrati fallimentari. Un mercoledi però, succede qualcosa di diverso: è particolarmente stanca e senza accorgersene, commette qualche imprecisione e aumenta il tempo di contatto tra spermatozoi e cellule uovo, da 30 minuti a un’ora. Così avviene il tanto atteso risultato: le prime divisioni cellulari dello sviluppo embrionale.

Ero così esausta e sonnolenta che, mentre guardavo al microscopio come lo sperma stava scorrazzando attorno alla cellula uovo, mi sono dimenticata di guardare l’orologio fino a quando ho realizzato all’improvviso che era trascorsa un’ora intera … In altre parole, devo ammettere che il mio successo, dopo quasi sei anni di insuccessi, era dovuto – non a un colpo di genio – ma semplicemente al sonnellino sul lavoro!

Come sottolinea Rachel nella ricostruzione della vicenda, per quanto ci sia senz’altro la componente del caso in questa scoperta, la tenacia di Miriam, fedele alla ripetizione instancabile dell’esperimento, ha permesso, alla fine, di raggiungere l’obiettivo. Nei giorni successivi, gli orizzonti possibili della ricerca cominciano a moltiplicarsi, ma a frenare il suo entusiasmo e mischiare di nuovo le carte ci pensa, ancora una volta, il caso: il marito perde il lavoro e Miriam è costretta a fare le valigie e seguirlo alla Duke University, nel North Carolina, “dove la fecondazione in vitro era considerata uno scandalo”. Come riporta Rachel:

Senza le competenze di Menkin, la ricerca sulla fecondazione in vitro a Boston si è fermata. Nessuno degli assistenti di Rock riuscirà definitivamente a fecondare un uovo in vitro mai più.

Miriam continua a lavorare per Rock da remoto: insieme pubblicano, nel 1948, la loro ricerca completa su Science, dove lei appare come prima autrice, ma, ovunque vada, nessuno è disposto a continuare il suo lavoro. Il matrimonio con Valy è sempre più in crisi: lui le prende denaro ed è violento con lei di fronte ai figli. In un primo momento Miriam prova a resistere all’idea del divorzio, ma dopo anni di sofferenze si convince a lasciare il marito. La separazione è molto dura: Miriam ottiene la custodia soltanto della figlia Lucy, che soffre di epilessia e ha bisogno di cure specifiche; il lavoro di ricercatrice che trova non è pagato e dunque, pensa di ritornare a Boston per riprendere il suo lavoro da dove lo aveva lasciatoma le cose sono cambiate. Il nuovo obiettivo di John Rock è di lavorare non più sulla fecondazione in vitro ma sulla pillola anticoncezionale. Miriam continuerà ad assisterlo e a pubblicare studi sull’infertilità ma non riuscirà a far parte di quel grande progetto scientifico, di cui aveva intuito la portata quel giorno di febbraio.

Come Rock, ha sondato i misteri della riproduzione, allungando i limiti di ciò che la scienza sapeva. (…) La sua vera passione era risolvere l’enigma scientifico della fecondazione al di fuori dell’utero. Per lei, il lavoro in vitro ha rappresentato la possibilità di far parte di un più ampio progetto scientifico, la realizzazione di una carriera deragliata.

Certo, se avesse potuto conseguire un PhD o non avesse sposato Valy, forse le cose sarebbero andate diversamente, ma di sicuro, nonostante gli ostacoli e la sofferenza, la sua natura di scienziata è riuscita comunque a emergere, anche solo per un unico, grande momento, che merita di essere ricordato.

Articolo di freedamedia.it