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26 Marzo 2024Non è ancora il tempo, in Italia, per accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) in maniera equa e gratuita su tutto il territorio nazionale. La speranza si è infranta a fine dicembre, una decina di giorni prima del nuovo anno dell’entrata in vigore dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea). Questi per l’appunto prevedevano – finalmente – anche l’erogazione delle prestazioni di Pma a carico del Servizio sanitario nazionale. L’annuncio era stato fatto dallo stesso ministro della Salute Orazio Schillaci, sottolineando l’importanza del Decreto tariffe, la cui attuazione – attesa da sei anni – avrebbe reso effettivi i nuovi Lea (sul tema si veda anche Aboutpharma numero 209 di giugno 2023).
Passaggi mancanti
Una rimborsabilità, quella della Pma, ancora incompleta a dire il vero, con alcuni passaggi che sarebbero rimasti a carico delle coppie che desiderano avere un figlio. Come il test genetico preimpianto, prestazione per cui oggi non è ancora previsto un rimborso e che Antonino Guglielmino, past president e fondatore della Società italiana della Riproduzione Umana (Siru), avrebbe provato a far inserire in seguito, una volta entrati in vigore i nuovi Lea.
“Abbiamo fatto la scelta di non farne una battaglia – commenta Guglielmino – perché temevamo che l’inserimento di un nuovo indice all’interno del nomenclatore potesse far allungare ulteriormente i tempi. La Commissione permanente aggiornamento Lea, istituita presso il ministero della Salute nel 2017, ogni anno verifica l’applicazione dei Lea e ad essa può essere fatta richiesta di inserire nuove prestazioni. L’idea era, una volta entrato in vigore il nuovo nomenclatore tariffario, di rivolgerci alla Commissione per far inserire anche i passaggi della Pma per cui oggi non è ancora previsto un rimborso da parte del Ssn”.
Tutto rimandato
Le cose però non sono andate come si sperava. I conti infatti erano stati fatti senza il Mef e le Regioni, che all’approssimarsi del 1° gennaio hanno chiesto una proroga di tre mesi perché indietro con l’aggiornamento del nuovo nomenclatore tariffario dell’assistenza specialistica ambulatoriale e del catalogo delle prestazioni regionali. Tutto rimandato al 1° aprile 2024 quindi, se non addirittura al 1° luglio come iniziano a sospettare alcuni o al 2025 come si ipotizza sul finire di marzo. Con la conseguenza che “nei mesi di gennaio e nelle prime settimane di febbraio c’è stata una diminuzione delle prestazioni di Pma in tutta Italia” fa notare Guglielmino. Una tendenza confermata più che altro dalla “riduzione del 10% del consumo dei farmaci che vengono utilizzati per la riproduzione medicalmente assistita” secondo quanto riferito allo specialista da alcune aziende farmaceutiche che hanno la percezione costante dei consumi di tali medicinali. “L’aspettativa delle coppie è altissima – avverte l’esperto – c’è stata una grande delusione nei confronti di questo provvedimento adottato a ridosso dell’entrata in vigore dei nuovi Lea e difficilmente verrebbe accettato un ulteriore slittamento”.
Disparità
Oggi la Pma è già parzialmente a carico dello Stato, con il 62,1% dei cicli di trattamenti di II e III Livello con gameti della coppia e il 27,4% con gameti donati in regime di rimborsabilità in centri pubblici e privati convenzionati, e il restante 37,9% e 72,6% rispettivamente, in centri privati a carico dei cittadini. Questo perché nonostante i Lea non siano ancora entrati in vigore ci sono regioni – per lo più al Nord e al Centro e non in piano di rientro – che offrono comunque gratuitamente le prestazioni. In altre Regioni invece, dove questo non è possibile i cittadini sono costretti a pagare dai 5 mila ai 10mila euro per un ciclo di Pma oppure a sobbarcarsi lunghi viaggi per recarsi dove la fecondazione assistita è gratuita. Precisa Guglielmino: “In Lombardia, per esempio ogni anno si eseguono circa 15 mila tentativi riproduttivi, di cui 5 mila sono extra Regione. C’è una massa consistente di popolazione che si sposta per avere accesso alle tecniche di fecondazione assistita gratuite. Parliamo di circa il 26-27%, un’enormità”.
Evitare l’interruzione volontaria di gravidanza
Come già accennato però, se anche il 1° aprile venisse adottato il nuovo nomenclatore tariffario, resterebbero ancora fuori i test genetici preimpianto (Preimplantation genetic testing, Pgt), una pratica che consente di identificare la presenza di patologie genetiche o anomalie cromosomiche, prima che l’embrione sia trasferito nell’utero. “È la forma più precoce di diagnosi prenatale invasiva perché consente di conoscere la costituzione genetica dell’embrione prima di trasferirlo nell’utero” spiega Daniela Zuccarello, medico genetista dell’Azienda Ospedale Università di Padova e rappresentante della Società italiana di genetica umana (Sigu). “La procedura consente di evitare il ricorso alla diagnosi prenatale, tipo villocentesi e amniocentesi, a cui in genere segue una interruzione volontaria di gravidanza”. Evitando così una sofferenza per le coppie e per le donne in particolare, per cui un aborto, oltre al peso psicologico, comporta un rischio per la successiva fertilità. Ma soprattutto, ammonisce la genetista “credo che nel secondo millennio nessuna donna debba essere costretta a interrompere una gravidanza perché non può pagarsi una diagnosi preimpianto”.
I test genetici preimpianto
I test in particolare sono di tre tipi. Il Pgt M riguarda le malattie monogeniche o mendeliane dovute alla mutazione di un singolo gene. È utile per esempio per diagnosticare patologie come il morbo di Huntington, alcune forme di neurofibromatosi, la fibrosi cistica etc. di cui i genitori possono essere portatori sani. Il Pgt Sr permette invece di individuare eventuali anomalie dei cromosomi quindi le traslocazioni o altri ri-arrangiamenti strutturali. Il Pgt A infine ricerca anomalie dei cromosomi, aneuploidie o cromosomi mancanti o extra, come la trisomia alla base della sindrome di Down. Aggiunge Zuccarello: “Il Pgt è un test minimamente invasivo che consiste in una biopsia sulla parte più esterna dell’embrione, quella che poi diventerà placenta. Avviene allo stadio embrionale di blastocisti intorno alla 56ª giornata di sviluppo in vitro, prima che venga trasferito in utero”.
Accesso limitato
La Pgt non è stata inserita nei Lea che sarebbero dovuti entrare in vigore a inizio anno perché le voci del nomenclatore erano state contrattate nel 20142016 e poi pubblicate nel 2017. Il nuovo tariffario quindi (se così si può chiamare, essendo riferito a un nomenclatore aggiornato sei anni fa) non ha tenuto conto dell’evoluzione genetica degli ultimi anni. La Sigu in realtà nel 2022 aveva provato a farsi sentire, inviando una lettera al ministero della Salute con richiesta di modifica del nomenclatore e tariffario Lea per l’assistenza specialistica ambulatoriale per quanto riguardava la genetica medica, ma evidentemente senza successo. “Data la rapidissima evoluzione che la medicina genomica ha avuto negli ultimi anni, siamo certi che questo nostro contributo permetterà di ottenere un nomenclatore e tariffario Lea aggiornato e funzionale, nell’interesse primario dei pazienti affetti da malattie genetiche” aveva scritto gli esperti.
Tra le altre cose Zuccarello ricorda che la Commissione permanente aggiornamento Lea a cui la Sigu e i vari esperti si sono rivolti più volte, è scaduta a giugno 2023 e non è ancora stata rinnovata. Da allora è tutto fermo perché il ministro non ha ancora dato indicazioni sul rinnovo.
Le eccezioni
“La Pgt non è mai stata inserita nei Lea nonostante le richieste delle associazioni scientifiche e dei pazienti” afferma Zuccarello. “D’altronde non si capisce perché ci debba essere la villocentesi e l’amniocentesi che comportano l’interruzione di gravidanza e non una tecnica che la evita. Al momento alcune Regioni come la Toscana, l’Emilia-Romagna e la Provincia di Trento, hanno prodotto Lea regionali per consentire l’accesso al test genetico, con proprie risorse. Il Veneto invece ha fatto una delibera per cui tutti i residenti possono andare in altre Regioni dove il Pgt si esegue a carico del Ssr. Le Regioni non in piano di rientro in pratica, si sono organizzate per fornire comunque la possibilità ai propri cittadini di accedere a questa analisi di diagnosi precoce”. Per tutte le altre coppie – anche a rischio di malattia genetica – il Pgt resta a proprio carico, con costi che si aggirano sempre su qualche migliaio di euro.
Una legge da cambiare
A ben guardare però ci sono anche altri problemi come lamenta Guglielmino. La legge 40 – che proprio il 19 febbraio ha compiuto 20 anni – per esempio vieta il congelamento e la distruzione degli embrioni, che oggi possono essere congelati solo grazie a una deroga della Corte costituzionale nel 2009. Ma solo in alcuni casi e a carico del centro che effettua la Pma. Prosegue il ginecologo: “Bisogna sicuramente aggiornare la legge 40 perché in vent’anni non è stata mai modificata se non dagli interventi della Corte costituzionale che ne ha rilevato in più volte la sua incostituzionalità. È una legge vecchia che si occupa di questioni scientifiche che hanno una velocità di evoluzione enorme, il che la rende facilmente obsoleta”.
Resta poi il tema dell’accesso alla Pma, oggi riservato solo alle coppie e non alle donne single o alle coppie omosessuali, nonostante l’evidente cambiamento della società anche in Italia. E quello della donazione dei gameti. Nel nostro paese non è mai stata fatta una campagna per incentivare la pratica né è previsto un risarcimento per i donatori. Con la conseguenza che, in base al report del Registro nazionale Pma dell’Iss per il ministro della Salute, nel 2021 sono stati importati da banca estera il 94% dei gameti maschili e il 99% di quelli femminili per eseguire la Pma eterologa di II e III livello, pratica in espansione anno dopo anno.
FONTE https://www.aboutpharma.com/