
Serena Reali, da sola, è diventata mamma di Santiago, mentre la Corte Costituzionale ribadiva il divieto della PMA alle donne single. L’Associazione Coscioni: «La battaglia non si ferma, firmate la petizione»
6 Giugno 2025
Se la destra è divisa sulla procreazione
6 Giugno 2025Diventare mamma dopo i 35 anni può richiedere tempo. Ma è proprio il tempo il fattore chiave per le coppie che desiderano essere genitori. Secondo uno studio pubblicato su Human Reproduction, il ritardo dell’avvio della fecondazione in vitro provoca una riduzione delle possibilità di successo. Un effetto che si acuisce soprattutto quando l’età materna avanza e in presenza di una causa nota di infertilità. Gli esperti della Società Italiana Riproduzione Umana (SIRU) lanciano l’allarme: mancano Linee Guida appropriate e i relativi Percorsi Diagnostici e Terapeutici Assistenziali (PDTA).
Mamma over 35: il fattore tempo e le possibilità di successo
«L’età media delle coppie che si rivolgono ai centri di procreazione medicalmente assistita in Italia è di 36,7 anni – spiega Antonino Guglielmino, fondatore della SIRU -. Tuttavia, l’accesso alle terapie avviene spesso con un ritardo di 4-5 anni, incompatibile con le tempistiche biologiche della fertilità. E occorre sottolineare che un ritardo di soli 6 mesi nell’inizio della fecondazione in vitro determina una riduzione delle nascite del 5,6% tra i 36-37 anni, del 9,5% tra i 38-39 e dell’11,8% tra i 40-42 anni. Questi numeri raddoppiano quasi in caso di un ritardo di 12 mesi». Sono dati allarmanti, considerato che l’aumento dell’età e della durata dell’infertilità possono compromettere le possibilità di successo delle cure.
La mancanza di linee guida e PDTA
«Attualmente l’Italia non dispone di linee guida nazionali aggiornate e l’assenza di Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA), che rappresentano una cintura di protezione sanitaria per le coppie, si traduce in anni di disorientamento – continua Guglielmino -. In media si stimano da 5 a 6 anni di dispendio economico e caos organizzativo, durante i quali molte coppie non sanno a chi rivolgersi, affrontano trattamenti non adeguati e arrivano ai centri specialistici troppo tardi. Questi percorsi dovrebbero partire dal medico di medicina generale o dal consultorio, già integrati con i centri di RMA, per offrire diagnosi e terapie utili per raggiunge velocemente l’obiettivo del concepimento di un figlio».
La differenza tra le Regioni e il fallimento dell’attuazione dei LEA
Nonostante l’inserimento della RMA nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) fin dal 2017, e la definizione ufficiale dei nuovi LEA con 3,4 miliardi di euro stanziati dal 2017 al 2024 (per il 2025 previsti 781 milioni di euro), l’attuazione resta frammentaria e disomogenea. «Bisogna poter eliminare le differenze geografiche e di censo che purtroppo esistono in questo momento – sottolinea Guglielmino -. Il divario regionale è evidente: in Toscana e Lombardia, dove l’accesso è facilitato, la PMA copre fino al 7% delle nascite. In Sicilia, invece, il Servizio Sanitario Nazionale riesce a soddisfare appena l’8,7% della domanda, con liste d’attesa di oltre 2 anni per l’eterologa e costi proibitivi. Fino a dicembre 2024, infatti, il costo del ticket era di 2.774 euro, poi ridotto a 800 euro a partire dal 2025. È assolutamente necessario, quindi, rendere omogenea l’offerta delle Regioni».
Urge un cambio di paradigma
«Se una coppia prova ad avere un figlio in modo naturale, laddove la futura mamma ha già compiuto 35 anni, in un anno deve effettuare tutti gli esami diagnostici e ed essere subito indirizzata al centro di RMA. Se la donna è più giovane, invece, si può attendere 2 anni per tentare naturalmente di intraprendere una gravidanza, ma poi andrà indirizzata verso un adeguato percorso. Occorre infatti considerare che, col passare del tempo, gli ovociti perdono la loro competenza e la gravidanza diventa un obiettivo sempre più difficile da perseguire. In un Paese con un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa, di 1,18 figli per donna, contro una soglia di sostituzione di 2,1, intervenire sulla riproduzione assistita non risolverà il problema demografico, ma di certo potrà rappresentare un importante segnale e un primo passo verso l’inversione della tendenza», conclude.