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Apparato genitale femminile: l’importanza della chirurgia conservativa

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FIRENZE. Oltre1500 interventi nel 2018 fra isteroscopie chirurgiche con ricovero in day surgery e in one day surgery (un giorno di ricovero) e ambulatoriali. Ad effettuarli il Centro di eccellenza regionale di isteroscopia, che lavora in permanenza negli ospedali Palagi come day surgery (chirurgia di un giorno) e Santa Maria Nuova come centro di isteroscopia bariatrica in regime di one day surgery (un day surgery con pernottamento in caso di interventi a rischio). In particolare quello operativo al Santa Maria Nuova è l’unico centro in Italia per l’isteroscopia bariatrica, un intervento di chirurgia endoscopica che impegna l’organizzazione, la strumentazione e il personale altamente specializzato nel trattamento di pazienti affetti da obesità.. Il centro di eccellenza regionale di isteroscopia di cui è responsabile il dottor Stefano Calzolari (che grazie al brand “Save the Uterus”, anche su You Tube con un canale dedicato, ha fatto conoscere il suo gruppo di lavoro a livello internazionale), propone una chirurgia conservativa rispettosa dell’integrità dell’apparato genitale femminile nelle patologie benigne dell’utero, ma anche nelle lesioni preneoplastiche dell’endometrio. Intensa è anche l’attività formativa del centro che a oggi, e con progetti fino al 2020, ha come obiettivo un consolidamento dell’attività già avviata, con l’ospitalità a colleghi ginecologi da tutti Italia per percorsi di perfezionamento.

Dottor Calzolari, quale è la mission della vostra equipe?

«La mission del nostro team che spesso è chiamato a operare anche in altri ospedali – è di ridurre tutte le isterectomie e i vecchi interventi invasivi e demolitivi, poco rispettosi dell’integrità genitale femminile. Una volta alla donna di 50 anni si diceva: “A cosa le serve l’utero?”, facendo un ragionamento privo di rispetto. Noi, invece, vogliamo fare una chirurgia conservativa, in alternativa all’isterectomia, che è un intervento classico demolitivo, non rispettoso per la sessualità, per la statica pelvica, per la fertilità e con un rischio anestesiologico, perché è comunque comporta un’aggressione anestesiologica molto maggiore».

Con le nuove metodiche si velocizzano i tempi?
«Certo. Le nostre pazienti in 12 ore fanno tutto il circuito che normalmente con un’isterectomia comporta un ricovero di 5 giorni. Questo significa grandissimo risparmio, non solo delle strutture ospedaliere, ma anche di chi deve prendere giorni di malattia e trascurare lavoro e famiglia».

Quanto ci vuole per un recupero funzionale?
«Da 48 a 72 ore e senza produzione di dolore, perché non creiamo ferite, non ci sono punti di sutura e la via che utilizziamo è quella naturale, attraverso il canale cervicale e la vagina: tutto in endoscopia, per cui non si lavora sulla paziente ma sul monitor».

In quali casi è necessario intervenire?
«Per tutta la patologia endo-cavitaria dell’utero, che riguarda cioè la cavità uterina, un organo della donna molto importante. Quindi tutto ciò che riguarda, per esempio, le malformazioni uterine, legate alla fertilità, i fibromiomi, i polipi, le patologie endometriali, anche quelle pre-tumorali; ma anche la patologia ostetrica post abortiva- materiale ritenuto dopo un aborto o dopo un parto, che un tempo si eliminava con il raschiamento- e le patologie del canale cervicale».

I vantaggi di questa metodica, oltre ai tempi abbreviati, quali sono?
«Si tratta di interventi estremamente conservativi, proprio nel senso sartoriale della parola. Si toglie, infatti, solo ciò che va tolto, conservando tutto il resto. È una chirurgia meno invasiva degli altri metodi, retaggio di mancanza di cultura, di paure non controllate dalla conoscenza. Il buio, si sa, fa sempre più paura della luce».

L’isteroscopia si pratica in anestesia?
«Diciamo che si divide in due branchie: quella ambulatoriale, limitata nell’operatività, risolutiva solo in certo casi, per cui la paziente fa e va via. E quella chirurgica per la quale servono un ricovero e un’anestesia generale. Nonostante ciò si entra in ospedale la mattina e si torna a casa la sera entro le 20. E anche il recupero funzionale, dato che non ci sono lesioni per arrivare alla patologia, è rapidissimo: senza dolori alla ferita, complicazioni, febbre».

Liste d’attesa?
«Questo purtroppo è il tasto dolente. Siamo bersagliati da tante richieste e ci sono carenze organizzative e di personale, per cui le attese vanno dai sei agli otto mesi. Salvo le urgenze a cui diamo assoluta priorità».

(Fonte iltirreno.gelocal.it )