La rigenerazione ovarica come alternativa all’ovodonazione
28 Giugno 2024
Tasso di fertilità maschile: è necessario eseguire l’esame quando si è giovani
4 Luglio 2024
La rigenerazione ovarica come alternativa all’ovodonazione
28 Giugno 2024
Tasso di fertilità maschile: è necessario eseguire l’esame quando si è giovani
4 Luglio 2024

Vuole un figlio con gli embrioni dell’ex, la giudice dice no: «Separati da troppo tempo»

Siena, negata la richiesta della donna: «Manca il consenso dell’uomo». Il legale di lei: «Decisione che nega la Consulta». L’avvocata di lui: «Tutelare entrambe le parti»

Una coppia che decide di avere un figlio. Il ricorso nell’aprile 2016 alla procreazione medicalmente assistita, la fecondazione di due embrioni in vitro, crioconservati in attesa dell’impianto. Poi la lite, irreversibile, i due si separano e poi divorziano. Tutto finito, restano però ancora quei due embrioni, due vite potenziali. All’inizio entrambi sembrano disposti a donarli. Passano sette anni, nel 2023 la donna, ormai ultraquarantenne, decide di andare avanti da sola, il desiderio di diventare madre è più forte della delusione della famiglia mancata. L’ex marito si oppone e diffida la clinica a eseguire l’impianto. I due si ritrovano di nuovo in tribunale.

Prevale il diritto della futura madre? O conta l’opposizione dell’ex marito? Non c’è una legge che disciplini la materia, ma la Giurisprudenza finora ha ritenuto più importanti le ragioni della prima. Questa volta però il giudice, anzi la giudice Valentina Lisi del Tribunale di Siena, con un’ordinanza dello scorso 27 giugno, ha dato torto alla donna, rigettando il ricorso in cui aveva chiesto il via libera all’intervento con un provvedimento d’urgenza.

«È una decisione che non condividiamo — osserva l’avvocato Gabriele Gragnoli che assiste la donna — e che si discosta dell’insegnamento della Suprema corte. Con la mia assistita ci riserviamo di fare una valutazione più approfondita».

L’avvocata Maria Grazia Di Nella difende invece l’ex marito. «Questo caso è diverso rispetto a quello deciso l’anno scorso dalla Consulta — osserva —. La coppia era separata da tempo, erano passati quasi otto anni. Avevano cercato cliniche all’estero per donare gli embrioni, e tra l’altro per quasi due anni non avevano più pagato il canone per la loro conservazione».

La donna aveva chiesto un provvedimento urgente vista l’età, spiegando anche che aveva seguito un percorso psicologico al termine del quale si era sentita «pronta alla genitorialità». La giudice ha obiettato che «ha avanzato la prima richiesta di trasferimento embrionale in utero a distanza di otto anni dalla fecondazione» e che «in tale lungo tasso temporale, la ricorrente ben avrebbe potuto esperire utilmente un ordinario giudizio di merito al fine di veder tutelato il proprio diritto». E si è spinta anche oltre, sostenendo che in questo caso manca anche il necessario «consenso informato» dell’uomo. Perché, come attesta la cartella clinica, aveva accettato «una durata annuale dell’impegno» e «la facoltà di abbandonare il materiale crioconservato dando comunicazione entro 15 giorni dalla scadenza del contratto».

«Nella memoria difensiva avevamo chiesto in subordine anche il rinvio alla Corte costituzionale sull’opportunità di fissare un termine al proprio assenso — aggiunge l’avvocata Di Nella —. È incredibile che il consenso prestato dall’uomo duri per sempre. Credo che vadano rispettate entrambe le parti, da un lato il desiderio della donna di diventare madre, dall’altro anche quello dell’uomo che potrebbe essersi creato una nuova relazione stabile. Anche perché, in questo caso, non è detto che tutto sia finito».

La donna infatti ha ancora tre possibilità: accettare la decisione del giudice e rinunciare definitamente al suo proposito, oppure fare ricorso al provvedimento d’urgenza. E infine c’è una terza via: promuovere un giudizio di merito. Con tempi più lunghi, e per tutti l’incertezza su quello che potrà ancora accadere.

FONTE CORRIERE.IT