
«Dopo 70mila euro in cure e 3 aborti, credevo non sarei mai diventata mamma. Ma grazie alle mie due sorelle oggi posso abbracciare la mia bambina»
24 Settembre 2025
Lavoratrice, non puoi essere licenziata perché vuoi un figlio, è discriminatorio: nuova sentenza della Cassazione
1 Ottobre 2025“Amo mio figlio, ma non lo rifarei: non sai chi è davvero il donatore né quali malattie può trasmettere”. Laura lancia un monito a tutte le donne che stanno pensando di ricorrere a un donatore informale
Laura Coldman, 33 anni, vive a Leicester (Regno Unito) e lavora presso un’associazione abitativa. È madre di un bambino, Cole, e desiderava da tempo dargli un fratellino o una sorellina. Dopo anni trascorsi da sola, aveva la sensazione che il tempo le stesse sfuggendo di mano: non si sentiva più giovane e voleva ampliare la famiglia prima che fosse troppo tardi. L’ostacolo più grande, però, era di natura economica. In Inghilterra la fecondazione assistita privata è estremamente costosa e, per le donne single come lei, l’accesso tramite sistema sanitario pubblico è spesso limitato: hanno diritto a pochi cicli gratuiti, o addirittura a nessuno. E spesso viene anche richiesto di dimostrare anni di tentativi naturali prima di accedere al trattamento, un requisito impossibile per chi non ha un partner.
Di fronte a queste difficoltà, Laura ha iniziato a cercare alternative. Ed è così che, scorrendo su Facebook, si è imbattuta in gruppi dedicati alla donazione di sperma gratuita. In questi spazi virtuali uomini si propongono come donatori, a volte motivati dal desiderio di “aiutare famiglie” e altre da ragioni meno chiare. Laura ha deciso di tentare questa strada, convinta di non avere molte altre possibilità.
L’incontro con il donatore
La scelta del donatore non è stata casuale. Laura ha chiesto informazioni in vari gruppi Facebook chiusi, cercando conferme e raccomandazioni. Alla fine si è affidata a un uomo che godeva di buona reputazione all’interno della comunità online. Lo ha incontrato a casa sua, a Sheffield, dove si è svolta la prima donazione. La procedura è stata quella della cosiddetta inseminazione casalinga: il donatore l’ha condotta nel suo seminterrato. “Era come una sala d’attesa”, ha raccontato Laura. Dieci minuti dopo l’uomo è ricomparso con il campione di sperma in una siringa. Laura ha così provveduto da sola all’inseminazione. “Mi ha detto a malapena due parole, in quel momento ho pensato che fosse strano. Ma desideravo disperatamente tornare a essere mamma”, ha raccontato.
Il processo si è ripetuto per quattro volte nell’arco di sette mesi. Alla fine, l’obiettivo tanto desiderato è stato raggiunto: Laura è rimasta incinta e nell’aprile 2022 ha dato alla luce Calum, un bambino che considera “il suo piccolo miracolo”.
Le conseguenze inattese
Nonostante la gioia della maternità, l’esperienza non è stata priva di conseguenze dolorose. Calum, oggi mostra tratti neurodivergenti: non parla, non riconosce situazioni di pericolo e manifesta comportamenti che lo espongono a rischi. Laura teme che alla base vi possano essere fattori genetici ereditati dal donatore, ma sa che non potrà mai una risposta certa.
Dopo la nascita, il contatto con l’uomo che ha donato lo sperma è stato minimo. Laura gli ha inviato qualche aggiornamento, ma da parte sua non c’è mai stata alcuna forma di coinvolgimento. Questa distanza ha rafforzato in lei l’idea che la scelta, pur avendole regalato un figlio, non sia stata la più sicura né la più responsabile.
I rischi nascosti delle donazioni informali
La vicenda di Laura mette in luce i numerosi rischi delle donazioni di sperma fuori dai canali ufficiali. Dal punto di vista medico, l’assenza di controlli clinici comporta la possibilità di trasmettere malattie infettive o patologie genetiche. Le cliniche regolamentate effettuano test approfonditi su ogni donatore, garantendo una sicurezza che, in contesti informali, si riduce a semplici dichiarazioni verbali.
C’è poi la questione legale. Nel Regno Unito, se la donazione avviene al di fuori di una clinica autorizzata, il donatore può, almeno in teoria, rivendicare diritti di paternità o essere ritenuto legalmente responsabile del bambino. Inoltre, le cliniche hanno l’obbligo di limitare a dieci il numero di famiglie che possono ricevere sperma dallo stesso uomo, riducendo così il rischio che in futuro fratellastri biologici possano incontrarsi senza saperlo. Nel mondo parallelo delle donazioni su Facebook, invece, non esiste alcuna limitazione, con potenziali conseguenze imprevedibili.
Un fenomeno in crescita
Quello che ha vissuto Laura non è un caso isolato. Secondo studi e inchieste giornalistiche, sempre più donne si rivolgono ai social media per ottenere sperma gratuito, spinte dai costi proibitivi della fecondazione assistita e dalla carenza di donatori nei circuiti ufficiali. È un fenomeno che coinvolge soprattutto donne single e coppie LGBTQ+, per le quali il percorso tradizionale è ancora più complesso e dispendioso.
Alcuni casi estremi hanno acceso i riflettori sul fenomeno, suscitando preoccupazioni e richieste di maggiore regolamentazione a livello internazionale. È noto quello di Jonathan Jacob Meijer, un donatore olandese al centro del documentario Netflix The Man with 1000 Kids, accusato di aver ingannato decine di famiglie e di aver generato centinaia di figli senza informare del numero reale delle sue donazioni. Situazioni simili sono state registrate anche nel Regno Unito, dove uomini come Robert Charles Albon, conosciuto come “Joe Donor”, hanno dichiarato di aver concepito centinaia di bambini attraverso donazioni informali.
La lezione di Laura
Guardando indietro, Laura afferma di non avere rimpianti perché Calum è la sua gioia più grande. Tuttavia, oggi invita altre donne a non seguire la stessa strada. Racconta la sua esperienza come un monito: l’assenza di controlli, di tutele e di certezze può avere conseguenze imprevedibili sia per la madre che per il bambino. “Non potrei fare a meno di Calum, ma non consiglierei a nessuno la donazione di sperma su Facebook – spiega Laura -. Non sai abbastanza sul donatore che potrebbe non rivelare dettagli sul suo passato o sulla sua storia clinica. Potrebbe essere un criminale condannato o avere gravi problemi di salute mentale, ma non l’avrei mai saputo”.
La sua vicenda, resa pubblica anche attraverso una campagna GoFundMe lanciata per acquistare arredi e ausili speciali destinati a Calum, solleva interrogativi che vanno oltre la sua esperienza personale. Il caso apre infatti una riflessione sul diritto alla maternità, sull’accesso equo ai percorsi di fertilità e sulla necessità di regole chiare che tutelino sia i genitori intenzionali sia i bambini. Senza un intervento strutturale, sempre più persone rischiano di ricorrere a soluzioni “fai-da-te”, con tutte le incertezze mediche e legali che queste comportano.
Il fenomeno in Italia
In Italia la procreazione medicalmente assistita è regolata dalla legge 40, che consente l’accesso solo alle coppie eterosessuali, escludendo quindi donne single e coppie omosessuali. Le differenze regionali nell’offerta pubblica e le lunghe liste d’attesa rendono spesso necessario rivolgersi a cliniche private, dove un ciclo può costare dai 3.000 ai 6.000 euro. Per questo molte coppie scelgono di andare all’estero, dove i costi sono talvolta più bassi e le regole più inclusive.
Tuttavia, anche nel nostro Paese esiste un fenomeno sommerso di donazioni informali, seppur meno visibile rispetto al Regno Unito, ma comunque preoccupante. Queste pratiche, prive di controlli medici e di tutele legali, espongono a rischi sanitari come la trasmissione di malattie o patologie genetiche e a possibili contenziosi sulla paternità. Pur mancando dati ufficiali, associazioni e testimonianze segnalano un aumento dei casi, soprattutto tra donne single e coppie omosessuali, che non possono o non vogliono ricorrere all’estero.
FONTE https://www.today.it/




